Scrivere di Collepagliuca, frazione a soli 3 km da Amatrice capoluogo, è per me molto difficile, il paese dei miei avi ( la mia antica famiglia, di nobile lignaggio, era proprietaria di tutto il paese), dei miei nonni, di mio padre, e mio. La nostra storica casa aveva dato i natali a mio padre, lì era cresciuto e lì sono in parte cresciuta io, per poi andarci ad abitare prima da sola e poi con mio marito. Lui ora non può più raccontare questa storia, ma può sempre sorvolare da Lassù un luogo ed una casa che ci ha visti felici in tempi lontani dal sisma, quando nessuno sapeva che anche lui sarebbe stato ingoiato da questa tragedia.
Collepagliuca era una frazione come altre sita nel versante più colpito dagli eventi sismici, tra Cascello e Voceto, un piccolo paese composto da una piazza e le case intorno. Di quelle case non se ne è salvata nessuna, è tutta zona rossa e a distanza di tre anni non sono iniziate neanche le demolizioni ( sono state demolite solo due stalle e la mia cantina). Tanti ricordi affollano la mia mente, il prete ( un attrezzo dove si metteva la cenere per scaldare il letto) messo sotto al letto da mia nonna, le preghiere dette la sera come lei mi aveva insegnato, mio padre che giocava a carte coi vicini, mia madre che parlava con le altre donne del paese, Genoveffa e Virginia che alle 14 avevano già finito di pranzare e si mettevano sulla panchina a prendere lo spicchio di sole che poi cedeva il passo all’ombra. Le discussioni, tante, che caratterizzano spesso i nostri piccoli paesini, i momenti conviviali comunque organizzati per passare il tempo ed ora tanta desolazione, in un paese ed una storia che non c’è più, che dopo noi non esisterà nei ricordi di nessuno. Indimenticabile il funerale di mio zio Anacleto, mai viste tante persone riunite nel paese e nella piccola chiesetta nella piazza, chiesa che era danneggiata in parte dal 24 agosto e che col sisma del 30 ottobre è finita del tutto. Si, perché la nostra bella Italia ha patrimoni storici ed artistici meravigliosi che però la politica tutta, dalle locali alla nazionale, non considera importante e ancor meno considera importanti le persone.
Una vita dura in frazione, le strade non sempre pulite dalla neve e le frane annuali rendono difficili gli spostamenti verso il capoluogo, cosa che mi ha indotta per diverso tempo a spostarmi più vicina ad esso per poter essere puntuale sul posto di lavoro, per poi tornarci in vari momenti. Eppure una vita che per me e per tutti i montanari conserva un fascino particolare. Bisogna essere del luogo per capirne il senso, ci sono storie e odori che non possono essere spiegati, la bellezza meravigliosa della natura selvaggia, gli animali liberi e al pascolo, il crescere a contatto con la natura senza vederla solo in foto nei libri sono una ricchezza inarrivabile. Quanti giri in bicicletta su quella piazzetta, i giochi con mio fratello, mio zio Alberto che mi insegnava a sistemare le staccionate, gli insegnamenti di mia nonna sul perfetto lavaggio dei panni alla fontana in fondo al paese, i lavori all’ uncinetto e a maglia ( quanti maglioncini ho fatto alle Barbie!), le ore passate nell’ orto e la salatura dei prosciutti in cantina, mio nonno che mi insegnava a vivere coi nostri animali e le escursioni in montagna con la sveglia alle 4.30 del mattino, l’ uscita da casa il giorno del mio matrimonio. Ci vorrebbe un libro per scrivere tutto, e un giorno lo farò, perché conoscere il nostro passato ci aiuta a vivere il futuro, un futuro che per ora sembra lontano, guardando la piazza ormai vuota di persone e piena di sassi.
Emanuela Pandolfi