Ricostruzioni riflettute

Mi siedo al sole su una panchina improvvisata, tra macerie e silenzio e faccio una riflessione tra me e me. Per chi non ha mai abitato i nostri luoghi terremotati è difficile immaginarli prima del disastro, difficile inserirli in un contesto di normalità tra persone che camminano, attività in funzione, strade vissute e case in piedi. Consapevole che tutto questo non lo rivedrò più, vado oltre e mi pongo una domanda a 5 anni dal sisma del 24/08/2016: la ricostruzione degli immobili, tutti, ha un senso oggi? In questi anni è cambiato tutto l’assetto sociale e ricostruire ben 4 Regioni (Lazio, Abruzzo, Marche e Umbria) sembra non solo un’ utopia, ma anche un progetto che va riflettuto in termini razionali. Lo spopolamento ha creato un vuoto lavorativo che fa, a sua volta, da muro ad una ripresa complessiva dei nostri territori e, per questa ragione, sarebbe più utile percorrere la strada dell’inserimento di realtà lavorative come le fabbriche, nonché il potenziamento delle realtà rurali e di produzione di specialità gastronomiche già presenti sul territorio. Il lavoro creerebbe la stabilità sociale ed economica per il ripopolamento dei luoghi terremotati, scegliendo di investire su questo anziché su immobili che, in molti casi, rimarrebbero ora disabitati.

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In questo contesto si creerebbe l’ottica della liquidazione delle case da ricostruire, su richiesta degli interessati, in modo da investire maggiormente nella ricostruzione del tessuto sociale ed economico. Perché la liquidazione (dal sisma de l’ Aquila non si fa più)  avvenga occorre però la legge apposita, mi auguro che, tra tanti sperperi all’ italiana e liquidazione di spese a fronte di progetti dove qualcuno puntualmente ha il suo tornaconto, chi di dovere si adoperi in tal senso.