Mi chiamo Emanuela e sono un’ abitante di Amatrice. In una notte d estate come tante, quando si dorme sereni nelle proprie abitazioni, nel cuore della notte , alle 3.36 vengo svegliata da rumori fortissimi, muri che si spaccano, vetri che si rompono, il letto che volava per la stanza. Scatto per arrivare alla porta di uscita sbattendo tutta la parte dx (che mi farà poi male per due anni). Incapace di comprendere cosa stesse accadendo e in preda al panico, mi ritrovo con solo la maglietta addosso, mi accorgo di essere a piedi nudi sentendo la terra sotto i piedi. Fa freddo ad Amatrice la notte, anche d estate. Prendo la macchina e accendo i fari, vedo la villa delle sorelle Perilli completamente a terra su un cumulo di macerie, corro alla palazzina di Paolo, è completamente sbriciolata col tetto a terra, 4 piani ormai adagiati al suolo, tutto intorno buio pesto, un’ aria spettrale, concittadini in pigiama, urla, pianti. Pietro sale in macchina e mi dice ” accompagnami a cercare i nipoti”. Scopriremo con la luce, e dopo molte ore che il più piccolo, che si chiama come lui, non ce l ha fatta, insieme alla madre che si chiama come me. Rosita è sotto shock, mi abbraccia, Marina con una coperta addosso mi viene incontro piangendo, Ernesto parla ma sono catatonica e non capisco cosa stia dicendo. Sono le 3’50 e sento gli elicotteri volare su Amatrice. Con le luci dell alba corro verso casa di Paolo, che stava dalla madre. Incontro Fabrizio, che porta via con una carriola i cadaveri di Iole e sua madre Vincenza e mi dice ” non avrei mai pensato di portare via dei cadaveri con una carriola”. Chiedo disperatamente a tutti se avessero visto Paolo, mi guardano, dispiaciuti, disperati. Corro verso le macerie, Fabio mi dice “Emanuela non ci andare lì…”. I soccorritori stanno lavorando per estrarre gli unici due superstiti della palazzina, mia suocera la madre di Paolo, e la madre di Stefano,che piange disperato e che rimarrà senza padre. Paolo verrà estratto molte ore dopo, tra cumuli di macerie che non gli hanno lasciato scampo. Chiedo informazioni di Rosella, che dormiva nella sua casa nel centro storico di Amatrice. La chiamo al telefono cento volte, inutilmente, cosi come chiamo Paolo, entrambi i telefoni muti, come sono ora loro dietro una fredda lapide. Corro su cumuli di macerie su Corso Umberto I°, la via principale di Amatrice, è pieno di soccorritori, medici, forze dell’ ordine, pompieri. Passo sotto le logge, ormai pericolanti, arrivo all’ inizio del vicolo di Rosella, Via Madonna della Porta, una montagna infinita di macerie, sassi…. Vedo un pezzo della ringhiera del suo balcone e capisco….Verrà estratta la sera del giorno dopo.
Sono passati tre anni da quella notte, una notte che non potrò mai dimenticare.
Seduta sulla panchina davanti all’ Istituto Don Minozzi dell opera per il Mezzogiorno creata da Padre Minozzi, guardo ciò che ne è rimasto. Dentro una di queste finestre dell’Istituto ormai diroccato c’ era una piccola stanza dove ho insegnato yoga per molti anni, per poi trasferirmi al centro anziani nel centro storico di Amatrice, fino al 24 agosto 2016.
Tanti ricordi, conditi da una sorda nostalgia che mi serra la gola, si affollano. Nonostante tutto i ricordi non possono essere cancellati e uniti al vedere 4 edifici in fase di ricostruzione, una piccola speranza mi si riaccende. Ma, purtroppo, basta andare al cimitero di Capricchia, una frazione di Amatrice, per sentire ancora quel nodo in gola, quel malessere, nello stare davanti alle tombe di giovani, giovanissimi, sepolti lì in quanto non entravano tutti nel cimitero di Amatrice e non posso non pensare che sarebbe stato meglio fossi morta io anziché loro, che non hanno avuto il tempo di assaporare la bellezza della vita. Perché la vita è anche bella, vorrei poterlo sentire dentro in questo terzo anniversario, ma ecco di nuovo quella sensazione di angoscia, malessere, incredulità e dolore. La stessa angoscia che mi ha svegliata stanotte alle 3.46.
Oggi qualcuno mi ha detto “vai avanti, dovete conservare la speranza”. Stasera la speranza la dedico tutta alle vittime, affinché trovino un po’ di pace. Vorrei dire loro tante cose, che non riesco a rassegnarmi del modo in cui sono morti, che mi dispiace infinitamente che siano morti in tanti così presto quando avevano tutta una vita davanti, che chi è rimasto a soffrire la loro perdita ha bisogno di un segno, di presenza. Ma una promessa gliela faccio: io non vi dimenticherò mai, né dimenticherò il modo in cui siete venuti a mancare. Io la seguirò questa ricostruzione e pretendero’ la reale e migliore ricostruzione antisismica. Fosse l’ultima cosa che faccio.
Emanuela Pandolfi