Quando la vita ti spezza

Storie vere di soccorritori e uomini

La notte del 24 agosto, quando le nostre terre hanno tremato sconvolgendo vite e interi paesi, ci sono state delle persone che sono intervenute immediatamente, i concittadini, gli abitanti di Amatrice e dintorni, e alcune persone de L Aquila, questa cittadina colpita prima di noi dalla tragedia del sisma e che consideriamo ormai la nostra sorella e i cui abitanti ci hanno mostrato una vicinanza commovente, oltre che aiuto concreto quella notte, come leggerete. Ecco le loro storie.

” Mi chiamo Andrea Sebastiani, vivo e lavoro ad Amatrice da Marzo del 2000 e sono un infermiere dell’Ares 118 Lazio, inoltre faccio parte del CNSAS della stazione di Rieti nella squadra distaccata ad Amatrice.
Ore 03.36, la mia vita in pochi secondi cambia. Mi trovavo in casa, dormivo con mia moglie. I bambini (per fortuna!) erano in vacanza dai nonni a Contigliano, un piccolo paese in provincia di Rieti. All’improvviso un forte boato, seguito da una forte scossa, squarcia la tranquillità della notte. Intorno a noi tutto ballava: soprammobili che cadevano, il cagnolino che guaiva dalla paura. D’istinto riesco a mettere sotto il letto mia moglie sperando che fosse un luogo sicuro per proteggerci: sapevo che non dovevo scendere le scale forse crollate. La scossa dura moltissimo, interminabili secondi nei quali l’unica cosa che riuscivo a fare era cercare di tranquillizzare mia moglie abbracciandola.
Dopo il sisma de L’Aquila nel 2009 avevo preso l’abitudine di tenere sul comodino il telefonino sempre in carica e una torcia: è stata la nostra fortuna. Infatti la corrente era saltata e proprio grazie alla torcia siamo riusciti a vestirci rapidamente, a scendere e ad uscire. Fortunatamente la nostra casa ha retto, ha fatto il suo dovere: ci ha protetti.
Esco di casa e mi trovo già di fronte le prime difficoltà. Inizio ad aiutare i miei vicini ad uscire di casa: le porte erano bloccate e ho dovuto sfondarle. Scendo in strada ed incontro il mio amico Emidio , carabiniere con specialità di sciatore e rocciatore . La mia attrezzatura di soccorso alpino era in macchina e, indossato il casco, gli scarponi e lo zaino sanitario decidiamo insieme di evacuare i nostri due condomini: erano presenti delle persone con difficoltà di deambulazione.
Nello stesso tempo ci mettiamo in contatto con le nostre centrali operative per comunicare la nostra presenza e il nostro inizio di operatività. Alla mia Centrale Operativa ho subito comunicato l’intenzione di effettuare un primo inizio di triage di maxi emergenza: sono stati suddivisi i codici rossi da quelli gialli e verdi inviando tutte le persone che non avessero problemi sanitari al campo sportivo, l’unico luogo che reputavo sicuro per la loro incolumità .
Di comune accordo con il medico di guardia decidiamo che i due probabili punti dove istituire i PMA per Amatrice sono i due ingressi del paese, dislocati in campo aperto e lontano da rischi di crolli. Vicino al primo PMA c’è l’elisuperficie, operativa h24, mentre il secondo ha uno spazio idoneo per far atterrare in sicurezza altri velivoli.
Dopo questa fase io e Emidio decidiamo di entrare nel centro del paese. Prima saluto con un bacio sulla fronte mia moglie (sapendo che con il rischio che andavo a correre forse non l’avrei piu’ rivista), pronta per partire verso Contigliano per raggiungere i bambini.
All’ingresso della zona rossa troviamo una scena apocalittica: il paese completamente raso al suolo, principi d’incendio, la polvere rendeva l’aria irrespirabile, la gente veniva verso di noi seminuda piena di polvere e ferite. Erano tutti smarriti e increduli. Nel paese io e Emidio siamo molto conosciuti a causa dei lavori che svolgiamo e proprio per questo molti paesani ci chiedono di aiutarli. Ci indicano i luoghi dove presumibilmente sono sepolti i loro cari, ma ben poco potevamo fare: da soli è davvero difficoltoso. Iniziamo quindi ad allontanare da quell’inferno la gente, con l’aiuto di alcune persone, indirizzandola verso il campo sportivo dove era stato attrezzato un primo posto di smistamento dei feriti.
All’arrivo di un ambulanza dal L’ Aquila lascio l’area triage alla collega e insieme al mio amico e a una squadra di pompieri entriamo nell’inferno e cominciamo e estrarre la persone dalle macerie.
Le persone estratte vive sono immediatamente valutate e immobilizzate con ciò che c’era a portata di mano: porte e persiane per le spinali, pezzi di legno come stecco-bende. Rapidamente vengono portate prima nell’area di sicurezza e, una volta operativi i PMA, trasportati negli stessi per essere stabilizzati e centralizzati in vari ospedali.
Con il passare delle ore affluiscono ad Amatrice numerosi soccorritori. I primi che giungono sul posto del disastro, a mio avviso, sono purtroppo poco organizzati sia a livello tecnico che a livello di attrezzature, mentre, in un secondo momento, sono sopraggiunti soccorritori con mezzi idonei in grado di lavorare nel modo giusto e in sicurezza.
Le ore passavano velocemente. Solo quando ho chiesto l’ora ad un pompiere mi sono reso conto che erano passate tredici ore dall’inizio di quell’incubo; tredici ore passate nelle macerie senza bere e senza mangiare, pensando soltanto a soccorrere i miei paesani, i miei amici, i figli dei miei amici. Di tanto in tanto telefono alla mia famiglia per comunicare che stavo bene, mentre, dall’altro capo del telefono, mio figlio mi chiedeva di andare a salvare i suoi amichetti. In particolare mi chiedeva di Emanuel, un suo compagno di scuola a cui era molto legato. Ancora ho nella mente la voce di mio figlio Lorenzo: “Papà vammi a prendere Emanuel vallo a salvare, lui il papà non ce l’ha vacci tu!” e invece io già sapevo che quel piccolo angelo non ce l’aveva fatta: il mio amico Marco, anche lui del soccorso alpino, mi aveva già comunicato la notizia.
Tra un soccorso e l’altro vado nelle ambulanze che si trovano ai margini del paese tentando di ripristinare il poco materiale rimasto nello zaino. Faccio il punto veloce della situazione e rientro nell’inferno per procedere di nuovo con i soccorsi. Conclusa questa fase calda mi sono diretto in un PMA del 118 dove c’erano i miei colleghi: lì mi sono adoperato a dare una mano fino a sera quando poi stremato sono tornato a casa dalla mia famiglia, dai miei bambini, da mia moglie, dal mio cane.
Ho provato a dormire ma la mia mente era invasa da scene terribili, rumori, grida delle persone che invadevano i miei pensieri e il mio animo.
I giorni seguenti sono tornato ad Amatrice per lavoro e, inevitabilmente, mi torna in mente ciò che ho fatto il 24 agosto. Mi interrogo su quanto ho fatto quella notte, sulle procedure utilizzate, sia giuste che sbagliate. Inoltre rifletto su cosa potesse essermi stato utile in quel momento, su cosa avrei potuto consigliare alle persone coinvolte in quella situazione buttando giù una serie di idee e di appunti che in quel momento mi venivano in mente.
Infine un pensiero va a tutti i ragazzi e a quelle persone che non hanno esitato un minuto per aiutarci mettendo a rischio la loro vita, sono loro i veri eroi. Chi indossa una divisa sia per lavoro sia come volontario del soccorso, sa di correre determinati rischi, lo ha scelto senza costrizioni, ma i ragazzi che si sono trovati involontariamente ad essere protagonisti di una tragedia non lo hanno scelto e quindi sono degli eroi.”

In foto Andrea Sebastiani

“Ore 3.36, 24 agosto 2016. Mi chiamo Giuseppe Baiocco, Sono nel letto a casa mia a Caporciano, in provincia dell’Aquila e sento un leggero sussulto,leggero per me che ero a dormire. Sento i passi di mio padre nella casa adiacente che scendono. Deve essere successo qualcosa. Scendo anch’io e dal telefono inizio a leggere del terremoto di Amatrice. Ho fatto il volontario per anni sulle ambulanze e nonostante ora non porto più quella divisa mi sento in dovere di partire. Carico la macchina di due zaini con dentro un sacco a pelo,un imbrago,delle corde e un casco,più altro materiale che uso in montagna. E’ notte,e il navigatore mi dice che arriverò ad Amatrice per le 6:30.Arrivo all’Aquila e noto diverse ambulanze già pronte,sintonizzo la radio e si inizia a parlare di vittime. Automaticamente la mia mente torna alla notte del 6 aprile all’Aquila. Arrivo al Cermone e diverse persone sono per strada e man mano che vado ne trovo sempre di più. Ad Aringo di Montereale sono tutti fuori. Mi manca poco per arrivare ad Amatrice, ed arrivo con 45 minuti di anticipo rispetto al navigatore. Percheggio al Parco e seguo due carabinieri che corrono verso il centro. Noto la prima casa a terra e arrivo davanti la Chiesa di Sant’Agostino. Davanti a me si presenta ciò che rimaneva del corso. Una ragazza in divisa mi dice che il punto più critico è l’Hotel Roma. Noto il dottor Massimo Cialente,sindaco dell’Aquila ma soprattuto un valido medico prestare i primi soccorsi e con lui c’è il Dottor Rodolfo Fanini,anch’egli medico aquilano L’Hotel si presenta con un a parte completamente collasata,c’è un’ambulanza della Croce Bianca de L’ Aquila ma è bloccata da un crollo di una casa. Davanti ci sono alcune persone che cercano,chiamano e sperano in una,risposta dei loro cari ancora dentro l’Hotel. Intravedo una scala antincendio in uno stato abbastanza precario ma salgo lo stesso. Trovo un ragazzo con un cagnolino che sta bene ma non riesce a scendere. Lo aiuto e immediatamente risalgo sopra, perchè avevo sentito un’altra voce che chiedeva aiuto. Nell’ultima stanza del piano una signora si trova bloccata per via del crollo del tramezzo del bagno e del pavimento. Sta bene ma non riesce ad alzarsi e scavalcare il muro. La abbraccio e la aiuto a risalire, arriviamo alla fine del corridoio e scendiamo insieme le scale. Vedo una Signora,Caterina,che cerca disperatamente i suoi figli rimasti all’interno della struttura. Scendo dalla parte del ristorante e si sente la voce di Silvia,la figlia di Caterina. Insieme a Claudio, un vigile del Fuoco di Amatrice, riusciamo a individuarla ed arrivare a lei. C’è uno squarcio di tutto il piano e tra un piccolo spazio tra il tramezzo e il pavimento troviamo Silvia che ha la gamba incastrata sotto l’armadio. Claudio fa il possibile per cercare di liberarla e nel frattempo arriva una scossa. Vado fuori per cercare un seghetto, ma vedo una fessura dove due persone cercano di aprire un varco. Uno è Cesare Ianni,un aquilano tosto e massiccio, pronto ad intervenire ed aiutare tutti,infatti non mi meraviglio nel trovarlo già lì operativo. Dietro quel muro c’è Alessandro,il fratello di Silvia con la fidanzata. Riusciamo ad aprire il muro con un grosso martello e a tirar fuori i ragazzi. Nel tornare indietro lungo il corridoio dell’albergo sento dei lamenti di due persone,sono Francesco e Antonietta,una coppia di Scai che vive a Pesaro e alloggia nell’Hotel.Hanno difficoltà ad uscire e riesco a creare loro un varco.Ricordo ancora le parole di Francesco,che purtoppo oggi non c’è più,che mi dice “Pensa prima a mia moglie,salva lei”,fortunatamente riesco a farli uscire entrambi e con qualche difficoltà li porto fuori al sicuro. Di questa coppia ricorderò sempre la telefonata che mimi fecero 20 giorni dopo e il nostro incontro per ringraziarmi e per farmi conoscere il resto della famiglia. Francesco ad circa un anno dal terremoto è venuto a mancare ma le figlie tutt’ora mi ringrziano per avergli concesso ancora un anno di vita al loro papà. Da lì è un continuo portar fuori persone anche attraverso delle semplici tavole.Il punto di ritrovo e davanti la chiesa di Sant’Agostino e su tale piazza purtroppo si formano due vie. La prima conduce verso le ambulanze mentre l’altra conduce verso il giardino del Parco in miniatura dove vengono purtroppo allineati i corpi delle vittime. Ritorno in centro ma non ritrovo il mio casco,cosa fondamentale per entrare ma fortunatamente vedo un mio amico,Carlo Lancione,Presidente della Gran Sasso Soccorso dell’Aquila ,che è lì operativo con la sua squadra e me ne presta uno dei suoi. Torno nuovamente sull’Hotel Roma e li ho avuto il grande onore di conoscere due ragazzi di Amatrice,Andrea Sebastiani,tecnico del Soccorso alpino e infermiere del 118 ed Emidio Forlini. Amatriciani che hanno messo subito al servizio della loro città le loro competenze in maniera impeccabile. Con Andrea abbiamo soccorso una signora che abitava dietro la chiesa che aveva problemi di pressione e sempre lui ha fatto il primo riepilogo su come gestire i soccorsi, mentre con Emidio abbiamo girato tutto il corso per dare una mano ad estrarre la gente. Nelle vicinanze dell’Hotel Roma purtroppo abbiamo recuperato, dopo la speranza di trovarlo vivo, Pompeo Rubei,macellaio storico di Amatrice, che purtroppo è stato vittima del crollo della sua abitazione. Due persone che porterò sempre nel cuore. Tornato al parco ho notato che le forze armate hanno creato un varco per evitare l’entrata delle persone non autorizzate e lì ho conosciuto il Maresciallo Mauro Margarito,comandante della Stazione dei Carabinieri di Leonessa ed ex comandante della Stazione di Amatrice, che si era messo immediatamente all’opera nelle operazioni di soccorso. Con lui ho collaborato nei due giorni successivi al controllo del varco insieme ai suoi uomini. Nel pomeriggio ricordo la casa vicino al supermercato Simply, dove una squadra del Soccorso Alpino de L’ Aquila stava lavorando nel tentativo di salvare i loro occupanti, ma dopo tante manovre a nulla è valso il loro operato. Una cosa che mi ha particolarmente colpito è aver incrociato Simone Coccia Colaiuda,un ragazzo aquilano che, jeans e maglietta,è arrivato ad Amatrice per prestare soccorso. E’ riuscito a tirar fuori una coppia di turisti, aveva il volto sporco e affaticato e negli occhi si vedeva tutto l’orrore che aveva visto. Nello stesso luogo purtroppo ho dovuto portare due bambini deceduti. Uno è il piccolo Pietro,il figlio di Luca Baccari,insieme ad un poliziotto di Amatrice lo abbiamo adagiato sul prato e lì di fianco il padre lo osservava e lo chiama disperato. In questa occasione ricordo una donna che si gira verso Luca e gli dice “Non preoccuparti Luca,è solo un brutto sogno,ora ci risvegliamo ed è tutto finito”, parole di falsa speranza che però volevano dare conforto a quell’uomo che aveva perso moglie e figlio. Il secondo bambino non ne conosco il nome,ma ricordo l’apparecchio accustico che aveva,in un primo momento pensavo fossero le vecchie cuffie di un walkman.Questo bambino lo abbiamo adagiato a terra io e Valter Di Carlo,un mio vecchio e caro amico rugbista aquilano,e insieme ci siamo guardati e abbiamo potuto fare un’unica cosa che succede a noi essere umani,abbiamo pianto su come la vita sia ingiusta nel portare un bambino piccolo e indifeso. Valter è stata una vera macchina da guerra,le sue mani hanno scavato tutto quello che c’era. Valter è affamato di vite da salvare,è un gigante buono e nella sua indole esiste solo l’altruismo come aveva già dimostrato nel terremoto de L’ Aquila. Orami è giunta sera,si iniziano ad accendere i faretti,aiuto un gruppo di volontari a posizionare un faro e poi sembra che tutto si fermi.Al varco sono moltissime purtroppo le persone che attendono notizie sui loro cari,alcune positive, altre purtroppo negative. E’ un susseguirsi di grida di gioia e urla di disperazione. Sono rimasto ad Amatrice per altri 2 giorni a dar una mano nel varco di entrata davanti la Chiesta di Sant’Agostino e questa triste vicenda si chiude con 299 vittime in tutto il comprensorio, moltissimi feriti e altrettanti sfollati. Doveroso ricordare le persone che ricordo essere intervenute: Andrea Sebastiani-infermiere e tecnico del soccorso alpino di Amatrice. Emidio detto Middio Forlini -Carabiniere di Amatrice – Mauro Antonio Margarito Maresciallo dei Carabinieri e Capostazione della Caserma di Leonessa. Cesare Ianni-Aquilano e promotore del Gruppo jemo ‘nnanzi Claudio Favetta-Vigile del Fuoco Savino Domenico,De Meis Edoardo,Mara Antonio,Marinelli Emilio della Polizia Stradale dell’Aquila Massimo Cialente-medico e sindaco dell’Aquila Rodolfo Fanini -medico dell’Aquila Simone Coccia Colaiuda -aquilano , Valter Di Carlo-Aquilano e Guardia Forestale Carlo Lancione-Presidente della Gran Sasso Soccorso dell’Aquila.”

In foto Giuseppe Baiocco

Emanuela Pandolfi